Eccellenza Italiana

L’arrosticino tra storia e leggenda. Da cibo semplice dei pastori abruzzesi, ha conquistato tutta l’Italia

La cerchi e non la trovi perché per trovarla servirebbe una precisa data di inizio. La storia dell’arrosticino, che nessuno potrà mai scrivere con certezza, è ben custodita dentro un’altra storia, quella dei pastori abruzzesi.

L’arrosticino è una pietanza semplice, più che povera bisognerebbe dire nata da gente povera, che si alimentava, sui monti, di quello che aveva.

Spesso solo di un tozzo di pane e dei pezzi meno pregiati di una pecora vecchia infilati su un ceppo di una pianta spontanea della zona, cucinati all’aperto, sulla brace di un fuoco di fortuna. Così, come sempre accade, quando la storia è vaga subentra la leggenda, quella di due pastori abruzzesi che, negli anni ’30 del secolo scorso, casualmente cominciarono a cuocere sulla brace tozzetti di carne, recuperandoli vicino alle ossa di una pecora e, poi, apprezzandone il risultato, passarono ai pezzi più nobili. Da lì a poco, sarebbe cominciata la diffusione degli arrosticini nelle sagre, nelle feste di paese e nelle fiere. Troppo vago per essere vero, anche se suggestivo. Conviene attenerci ai fatti. 

Le prime fonti scritte di cui si hanno traccia sul tema arrosticino risalgono al 1600 e, successivamente, al 1889, quando è stata registrata a Civitella Casanova una licenza di vendita. Civitella, a quel tempo in provincia di Teramo, dal 1927 è in provincia di Pescara. 

L’arrosticino è dei pastori, sia stanziali che dediti alla transumanza, per secoli  dominatori dei monti e delle valli abruzzesi con le loro greggi di migliaia e migliaia di pecore e agnelli. Certamente, l’esaltazione della carne infilata nel ceppo è avvenuta nel Pescarese, a cominciare dall’area compresa tra i borghi di Carpineto della Nora, Villa Celiera e Civitella Casanova. 

Il consumo di massa degli ultimi decenni è partito proprio dall’area metropolitana della città adriatica, tanto che le rustell sono il piatto tipico di Pescara alla pari del brodetto di pesce.

L’arrosticino ora è un prodotto di massa, apprezzato a Milano come a Palermo. E qui, indiscutibilmente, il merito va assegnato a Spiedì dei fratelli Roberto e Marino Di Domenico, azienda che ha portato l’arrosticino nella Gdo, la grande distribuzione, e nelle case degli italiani intuendo e valorizzando la possibilità di una cottura senza la brace. Sì, quella brace che ci piace tanto, ma che ha diverse limitazioni: può essere accesa solo all’aperto, e neppure dappertutto perché molti comuni vietano i fuochi, e comunque prevalentemente nella bella stagione. La semplicità di un arrosticino – carne di pecora infilata in un ceppo di legno e condita solo con un po’ di sale – è anche sinonimo di versatilità nella cottura

L’idea e le diverse cotture

Spiedì ha lanciato l’idea, vincente, della cottura nella padella e sulla piastra e ora suggerisce l’utilizzo della friggitrice ad aria, che non produce odori e fumo e garantisce una cottura omogenea senza necessità di girare l’arrosticino. Singolare anche il fatto che da questo semplice cibo ancestrale sia scaturita una disputa dialettale.

L’arrosticino, a seconda delle zone d’Abruzzo, viene chiamato rustell’, rustelle e arrustelle. La griglia dove avviene la cottura, invece, è la fornacella, declinata in furnacella, rustillire, canala o canalina. Li cippe o li cippitill, invece, sono i bastoncini di legno.

Ma a tavola con cosa va accompagnato l’arrosticino?

Se ci atteniamo alla tradizione locale, diciamo pane abbrustolito con un giro d’olio e un pizzico di sale e un bicchiere di Montepulciano. Ma, ma… Date un’occhiate alle ricette del sito www.spiedi.it e ne scoprirete delle belle. Eh sì, perché l’arrosticino sa stupire anche per la versatilità negli abbinamenti.

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