Una famiglia unita, la passione per il lavoro, ma anche la capacità di anticipare i tempi e il coraggio di osare.
La storia di Spiedì ha una data ufficiale, marzo 1987, e una data non ufficiale, metà ‘800, prima dell’Unità d’Italia. Tra i due periodi corre oltre un secolo. Quattro generazioni. I bisnonni di Roberto e Marino, a Torre de’ Passeri, l’antica Turris Passum, letteralmente Torre del Passo, aprono una macelleria che pare un azzardo perché quasi tutte le famiglie di quell’epoca, oltre a coltivare i campi, allevavano animali e potevano essere considerate autosufficienti. Invece no.
Perché nella bottega di Mastro Di Domenico c’era una scelta così ampia di carne da poter soddisfare tutti i gusti. Uno dei figli del fondatore, Marino, ha le stimmate del commerciante ed eredita l’attività.
Nonno Marino e nonna Graziella
Nonno Marino e nonna Graziella
Nonno Marino e nonna Graziella, così li ricordiamo, danno ulteriore impulso alla macelleria, che diventa un punto di riferimento anche per i centri del circondario: Alanno, Bolognano, Castiglione a Casauria, Pietranico, Scafa e Pescocostanzo, ora tutti nella provincia di Pescara istituita nel 1927. La bontà della carne della macelleria Di Domenico è nota anche ai numerosi turisti che si recano all’incantevole Abbazia di San Clemente a Casauria.
Papà Carlo e mamma Lola
Corrono gli anni e Marino e Graziella affidano le redini della bottega al figlio Carlo che, insieme alla moglie Lola, esaltano la qualità del prodotto e il rapporto con la clientela, fatta di parenti, amici ma anche, anzi soprattutto, gente di Torre e dintorni. Roberto e Marino, i figlioli, vengono forgiati nel negozio di famiglia. Acquisiscono le conoscenze del settore, capiscono i tagli della carne e la loro qualità.
1987: nasce Spiedì
Arriviamo al crepuscolo degli anni ‘80. Roberto e Marino, la quarta generazione dei Di Domenico, sono pronti per il grande salto. Nel 1986 elaborano il piano per aprire l’azienda, che vede la luce nel marzo dell’anno successivo. Nasce Spiedì. Il nome è bello, ha un forte appeal ed è chiarissimo: Spiedì significa arrosticino, lo spiedino di carne di pecora dominante nella tradizione culinaria dell’intero Abruzzo, specie del Pescarese. L’arrosticino fa gola a tutti, ma proprio a tutti. Ha, però, un problema: va cucinato alla brace e, di conseguenza, viene consumato solo durante la bella stagione che, a seconda dei capricci del tempo, può essere di tre o sei mesi. Comunque pochi per un’azienda che ambisce a crescere e vuole conquistare altri mercati oltre a quelli di prossimità.
L’intuizione dell’arrosticino cucinato in pentola
L’intuizione viene a Roberto: cucinare l’arrosticino nella pentola, in modo da affrancarsi dalla brace e rendere annuale il consumo di un prodotto tipicamente stagionale. Anche in questo caso sembra un azzardo.
Arrosticini senza brace, ma di cosa sanno? Hanno un sapore buono, senza il retrogusto di fumo. Inoltre, la cottura alla padella pretende un arrosticino più magro, con il 10 per cento di magro al posto del consueto 20-25 per cento. L’idea è vincente. A Milano come a Torino, Bologna, Roma e in numerose altre città, specie del Settentrione, l’arrosticino comincia a entrare nelle case. E’ buono, veloce da mettere a tavola e la cottura non crea fumi particolari, di quelli che fanno scoppiare le liti nei condomini.
Nel giro di pochi anni, gli arrosticini Spiedì sono stabilmente negli scaffali della Grande distribuzione, come in tanti ristoranti, negozi ricercati e navi da crociera. L’offerta Spiedì, anno dopo anno, diventa ancora più ricca e all’invidiabile gamma di arrosticini si affiancano altri prodotti, dagli hamburger alle polpettine alla tartare.